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Martedì, 24 Giugno 2025 07:42

Erpetofilia, una passione costruttiva che forma e sensibilizza In evidenza

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Negli ultimi anni assistiamo sempre più spesso a una gogna pubblica verso chi alleva e condivide la propria vita con anfibi e rettili, imputandogli maltrattamento, sfruttamento, esibizionismo e commercio illegale di specie protette. Ma è tutto vero?

Come in ogni settore, ci sono persone virtuose e altre meno, ma questo non vuol dire che un intero comparto sia negligente o colpevole.
Non solo, spesso ci si dimentica che una passione può diventare un lavoro e non per forza qualcosa legato al commercio. Infatti, nel caso degli allevatori o semplici proprietari, non è raro che un appassionato, un erpetofilo/erpetocultore, decida di intraprendere la strada per diventare erpetologo, conservazionista, naturalista, veterinario, ecc...
Sono tanti i casi in cui un appassionato diventa anche un accademico. Un esempio concreto è Devin Edmonds, noto allevatore di anfibi che ha poi intrapreso un percorso accademico e al quale, nel 2017, venne anche dedicata una specie di rana endemica del Madagascar: Stumpffia edmondsi .


In foto: Stumpffia edmondsi - by Miguel Vences

A differenza di ciò che avviene in Italia, dove il terrariofilo viene condannato anche in ambito accademico, nel resto d’Europa (e non solo) quello di Edmonds non è un caso isolato. Infatti, accade spesso che i ricercatori dedichino una specie a un erpetofilo, che può essere un naturalista come un vero e proprio allevatore.
Alcuni casi famosi: Uroplatus pietschmanni, geco dedicato a Jürgen Pietschmann, allevatore di gechi tedesco; Scaphiophryne gottlebei, rana dedicata a Johann Gottlebe, commerciante ed esportatore che diede un grosso contributo nel classificare nuove specie in Madagascar; Thecadactylus oskrobapreinorum, geco dedicato a Maciej Oskroba e Stephan Prein, due erpetofili e allevatori tedeschi che hanno contribuito alla sua classificazione; Stumpffia jeannoeli, rana dedicata a Jean Noel, guida naturalistica specializzata in erpetofauna.

Ci sono altri aspetti che non vengono considerati da chi condanna i terrariofili. Molto spesso, purtroppo, gli anfibi e i rettili sono tra gli animali meno apprezzati dalla popolazione media, che non solo li ripudia e teme, ma — in particolare nel caso dei serpenti — li uccide.
Mentre gli erpetocultori sono i primi ad avere a cuore la tutela delle popolazioni naturali, a partire da quelle nel proprio cortile, un proprietario o allevatore di pitoni non ucciderà i serpenti selvatici, anzi, si impegnerà a sensibilizzare anche le altre persone, aiutandole a capire che anche in caso di fobia non è per forza necessario uccidere il malaugurato animale.
Il rispetto e la conoscenza che un appassionato ha verso gli anfibi e i rettili non solo è utile nel difenderli, ma è vitale per imparare le loro abitudini di vita, le loro caratteristiche fisiologiche ed etologiche. Una strada fatta di studio e dedizione, che a volte porta quello che oggi è un "semplice" appassionato a diventare un conservazionista.
Non solo: spesso gli appassionati di erpetofauna si dedicano a quello che in inglese viene definito herping, cioè uscite nella natura per osservare, studiare e fotografare l’erpetofauna selvatica. Questo permette di creare una sensibilità ambientale che molte persone che condividono la vita con cani e gatti non hanno.
Al contrario, chi questi animali non li conosce spesso condanna chi li detiene solo per paura dei loro amici striscianti, non per reale interesse per il benessere di questi.

In Italia sembra che questo aspetto della terrariofilia non esista, che l’allevare un anfibio o un rettile sia automaticamente un modo di finanziare il bracconaggio o di maltrattare il proprio pet.
Eppure anche Luciano Di Tizio, attuale presidente del WWF Italia, era un terrariofilo/acquariofilo (forse lo è ancora), tanto da essere autore di libri sulla gestione di pesci e rettili nelle nostre case. Quindi una persona altamente impegnata nella difesa dell’ambiente e degli animali ha almeno avuto nel suo trascorso una componente di allevamento.
Un altro esempio è Vincenzo Ferri, naturalista, dottore di ricerca in Biologia Evoluzionistica ed Ecologia e coordinatore della Commissione Conservazione della Societas Herpetologica Italica che tra gli anni ’80 e ’90 era addirittura il curatore di un vero e proprio rettilario, oltre ad essere autore di libri a tema.

Purtroppo, in Italia sembra che la morale superi la scienza, dando maggiore importanza ad aspetti puramente emotivi, a discapito di quelli scientifici e conservazionistici.
Questo non vuol dire che i terrariofili siano negligenti: amare gli animali con cui si condivide una vita è anche offrirgli ciò di cui necessitano e garantirgli una vita lunga e agiata, senza appunto dimenticare che le stesse specie che si hanno nella propria abitazione devono essere tutelate anche in natura.
Non solo: tendere la mano verso gli erpetocultori, invece di puntare il dito, sarebbe utile a sensibilizzare tutti su temi di conservazione, ad aumentare la cultura generale dei proprietari occasionali, diminuendo il rischio di abbandoni di specie esotiche.

Come ci sono persone che rinnegano e condannano l’erpetocultura, ci sono anche quelle che, nonostante riconoscano i potenziali rischi di questa passione, rimangono oggettive e ne riconoscono anche le potenzialità e l’utilità.
In Italia e in tutto il mondo ci sono erpetofili che hanno trasformato la passione in lavoro, studio e conservazione: alcuni continuano anche ad allevare, altri hanno dovuto smettere per mancanza di tempo.

Tra questi vale la pena citarne alcuni: Franco Andreone (conservatore della sezione di zoologia del Museo di Scienze Naturali di Torino e curatore di progetti di conservazione in Italia e Madagascar), Leonardo Vignoli (professore all’Università degli Studi Roma Tre e curatore di diversi progetti Life incentrati su erpetofauna), Markus Roesch (erpetologo tedesco che attualmente lavora presso il CIBIO in Portogallo e ha collaborato a diversi progetti di conservazione alle Mauritius e alla Réunion), Philip-Sebastian Gehring (erpetologo tedesco che ha prodotto diverse pubblicazioni scientifiche e che lavora a progetti di conservazione in Madagascar), Jonathan DeBoer (dottorando statunitense, appassionato e allevatore di gechi che ha già diverse pubblicazioni scientifiche all’attivo), Oleskii Marushchak (erpetologo ucraino e direttore scientifico di BION Terrarium Center), Bryan Minne (erpetologo belga, ha all’attivo svariati progetti di conservazione e tuttora è anche un allevatore) e Matej Dolinai (appassionato ceco e documentary maker di erpetologia e conservazione).

Se nel nostro Paese l’allevamento e la detenzione di anfibi e rettili viene vista come un problema e qualcosa da rinnegare per chi si occupa di conservazione, in molti altri Paesi d’Europa l’allevamento e lo studio in terrario sono quasi assimilabili alla ricerca.
Prima di tutti la Germania, dove moltissimi erpetologi e conservazionisti sono o erano terrariofili, e hanno imparato quanto l’amore per la vita e per la natura possa essere concreto anche tra le mura della propria abitazione.
Oggi la tassonomia di specie ha fatto passi da gigante e per alcuni taxa si è scoperto praticamente tutto. Eppure, in termini di biologia ed etologia, ci sono ancora svariati punti di domanda e in questo ambito gli appassionati possono dare un forte contributo.
In questo senso possono farlo anche senza seguire un percorso accademico, ma attuando quella che viene definita Citizen Science. I singoli privati, possibilmente guidati da figure preparate, possono fornire una quantità di dati notevoli a chi fa ricerca, cosa che difficilmente potrebbe essere fatta in una singola struttura o in natura.


Alcuni dei curatori dello zoo di Colonia al lavoro.

Come in alcuni casi possono inserire animali propri o nati nel proprio allevamento in contesti di conservazione ex situ, volti a riprodurre animali in terrario e a reintrodurne la prole in natura.
Lo zoo di Colonia (Germania) ha diversi progetti in questo senso, molti consolidati e attivi; lo stesso vale per Aquatis di Losanna (Svizzera). In entrambi i casi le strutture zoologiche hanno coinvolto anche allevatori privati nei loro progetti.
La Germania si è evoluta così tanto in questo senso da aver sviluppato un progetto finanziato dal governo che prende il nome di Citizen Conservation: l’idea è proprio quella di coinvolgere i privati cittadini e gli allevatori in progetti di conservazione e allevamento, creando una sorta di arca di Noè nazionale. Questo progetto presto sarà anche una realtà italiana, portata avanti proprio dal gruppo di lavoro creatosi internamente all’Italian Gekko Association.

In conclusione, per quanto l’allevamento di anfibi e rettili nelle nostre case possa avere una parte di effetti collaterali negativi, ne dimostra anche parecchi positivi. Quello che andrebbe analizzato oggettivamente è se i pro superano i contro, senza prese di posizione dettate solo dai buoni sentimenti, che indubbiamente non sono condannabili, ma non servono per analizzare la questione, soprattutto se la si valuta in termini di conoscenza e conservazione delle specie.

Letto 801 volte Ultima modifica il Martedì, 24 Giugno 2025 16:56
Emanuele Scanarini

Presidente di Italian Gekko Association, appassionato fin da bambino di natura e in particolare di erpetofauna. Allevatore di gechi con un'ottica naturalistica e conservazionistica.