ETOLOGIA, TRA REALTÀ E DISINFORMAZIONE In evidenza

In Italia stiamo assistendo ad un tentativo di imposizione legislativa fondata su concetti ideologici e congetture personali. Spesso le motivazioni addotte fanno leva sui buoni sentimenti e sotto alcuni aspetti possono essere universalmente condivisibili, purtroppo però stridono con la realtà dei fatti.


Una delle più grandi condanne al nostro settore viene, infatti, da quegli etologi che hanno perso di vista la realtà dell'interazione uomo-animale. Perché per quanto sia vero che un cane si è evoluto con noi in migliaia di anni, non è altrettanto vero che tutti gli animali l'hanno fatto volontariamente o nello stesso arco di tempo. Come non è vero che tutte le specie definite domestiche hanno interazioni positive con l'uomo, semplicemente per le loro capacità limitate di farlo (i passeriformi), o perché gestite senza interazioni (la gallina).


Com'è altrettanto vero che un domestico senza interazioni con l’uomo fin da piccolo torna ad essere “selvatico” (inselvatichito), in Tailandia uno dei più grossi pericoli per la popolazione sono i branchi di cani, più di qualsiasi animale selvatico, cobra compresi. Non è da confondersi con il randagismo, le popolazioni di specie domestiche ormai stabilizzate non sono definibili semplicemente “randagi”, ma veri e propri branchi naturalizzati, quelli che in zoologia vengono definiti come “animali ferali”.


Al tempo stesso non è vero che queste interazioni sono solo da animale umano ad altri animali, alcune popolazioni di babbuini rapiscono i cuccioli di cane per integrarli nel loro branco. Quindi animali selvatici che attuano comportamenti da Homo sapiens, verso animali domestici.
Inoltre, non tutti gli animali "selvatici" nati in allevamento hanno bisogno di essere psicologicamente violentati per avere una sana interazione con gli esseri umani, molti mammiferi e volatili sono capaci di imprintarsi nel tempo anche senza essere strappati alla madre troppo piccoli. Senza contare che ormai alcuni animali sono nati nelle nostre case da così tante generazioni che di base tendono ad essere meno timorosi rispetto ai loro parenti nelle zone d’origine.


Bisogna anche ricordare che non esiste una definizione assoluta di domestico, proprio perché il confine tra “selvatico” e “domestico” soprattutto in termini comportamentali è molto labile. Il premio Pulitzer Jared Diamond, sostiene che in realtà le uniche vere specie domestiche siano quelle di cui non esiste popolazione selvatica, quindi di tutti i domestici solo pochissimi sarebbero completamente definibili tali.

Inoltre, si va a toccare il tema di specie invasive e questo è abbastanza controverso, un attuale divieto al commercio spaventerebbe tutti, comprese le persone meno coscienziose che per liberarsi del "problema" rilascerebbero animali alloctoni in natura, ottenendo così l'opposto di ciò che si vorrebbe evitare. Nuove specie invasive e nuove malattie, tra cui potenziali zoonosi. Tant'è che la normativa Europea, l'originale, parla delle specie allevate come a basso rischio di zoonosi, soprattutto per alcune categorie. Ricordiamo anche che l'aviaria, ad esempio, è portata dagli uccelli migratori e questa è temuta da chi ama e alleva uccelli esotici e/o domestici da compagnia, perché può condannare a morte tutti i loro animali.
Purtroppo viviamo in un periodo storico in cui la paura di malattie infettive è tornata a stringere i nostri cuori per colpa del SarsCov-2, ma è etico sfruttare questa paura per combattere battaglie personali?


Chiunque si occupi di sanità animale sa che il rischio di zoonosi è presente per chiunque conviva con animali (siano essi cani, gatti, uccelli, rettili o ancora bovini, ecc...) e non fornisca loro le cure adeguate; proprio in questo senso risulta particolarmente brutto classificare animali di serie A e animali di serie B in base all'aspetto fisico o al proprio gusto personale.
E’ necessario ribadire, che proprio ai sensi del regolamento (UE) 2016/429 attuato dalla Legge 53/2021 in questione, gli animali da compagnia detenuti per scopi meramente privati e affettivi, rappresentano "generalmente un rischio sanitario minore" e che, per la detenzione di animali "che vivono a stretto contatto o vicinanza con l'uomo", lo stesso Regolamento si esprime in termini di "rischio irrilevante" per la sanità animale e per la sanità pubblica a fronte dell'adozione di opportune misure di prevenzione, gestione e controllo.
Tornando al discorso “specie invasive” dobbiamo ricordare che la prevalenza degli animali alloctoni nel mondo rientrano nella categoria “domestici” e non “esotici/selvatici”: cavalli, cani, maiali, gatti, ecc…

In ultimo ma non meno importante, ci si dimentica come l'allevamento in cattività contribuisca sotto diversi aspetti alla conservazione di specie selvatiche e aiuti in progetti di ripopolamento in situ, cioè in natura. Una fonte di informazioni e iniziative volte a preservare interi habitat, che diversamente verrebbero spazzati via.
La possibilità di documentare i processi fisiologici degli animali allevati, di poterne studiare parte dei comportamenti e delle attitudini, poter verificare e studiare le malattie che li colpiscono, sono tutte opportunità che arrivano esclusivamente dalla detenzione nelle nostre case, ma utili alla finalità del preservare gli animali nel mondo. Succede un po’ ciò che avviene per gli zoo, ma in forma privata. Molti condannano le istituzioni zoologiche, ma si dimenticano che hanno l’obbligo di indirizzare almeno parte delle loro risorse per la ricerca e la conservazione. Elemento che non è assolutamente trascurabile, tant’è che alcuni etologi che condannano l’allevamento privato, lavorano per gli zoo.

Per quanto riguarda il commercio, sicuramente chi ha interessi economici in merito può essere accusato di avere un'opinione "interessata", ma ci dimentichiamo che un divieto totale porterebbe alla chiusura immediata di tutte quelle aziende che vivono producendo mangimi e accessori per animali, quindi non solo un danno economico alle famiglie, ma anche agli animali stessi che verrebbero condannati a morire di fame, o di patologie indotte dalla mancanza dei giusti prodotti per gestirli.

Il settore è assolutamente a favore di una regolamentazione più stringente, ma assolutamente contro ad un divieto totale.


Autori:
Emanuele Scanarini - Presidente Italian Gekko Association - IGA
Gabriele Carsana - Medico Veterinario
Simone Masin - Zoologo ed etologo

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Letto 780 volte Ultima modifica il Mercoledì, 11 Maggio 2022 12:16